Quanto è difficile avere a che fare con i “capricci” dei propri figli?
Il quadro lo conosciamo un po’ tutti: urla, grida, pianti, movimenti irrequieti o rigidità e quella parola che ai bambini piace tanto pronunciare in maniera forte e decisa: no!
Ma che significato possono avere tali comportamenti?
Innanzitutto, personalmente, non amo molto la parola “capricci” ma preferisco usare il termine “opposizione”.
Attraverso tali comportamenti in effetti il bambino si oppone ad una certa richiesta, decisione o regola proveniente dall’adulto.
Attraverso tali comportamenti il bambino dimostra di essere separato dai genitori (“non sono soltanto come tu mi vuoi”), di essere un soggetto che si sta formando con un pensiero proprio, autonomo, diverso da quello di mamma e papà.
Ecco che da qualcosa di difficilmente comprensibile ed ostinato (capriccio) arriviamo a leggere queste manifestazioni come un modo che il bambino trova per dire la sua, per esprimere (nel modo in cui riesce) il proprio bisogno di affermazione.
Tutto questo rientra in una fase evolutiva, che come le altre ha un inizio, uno svolgimento ed una fine (davvero!). Ma rimane comunque un periodo delicato che va compreso e affrontato attentamente, al fine di evitare l’instaurarsi di dinamiche ripetitive ed estenuanti per i genitori ma anche per i più piccoli.